l diritto ereditario o successorio è un complesso di norme che regola le vicende riguardanti il patrimonio di una persona fisica per il periodo successivo alla sua morte, in altri termini una branca del diritto applicabile alla successione ereditaria, per mezzo della quale si realizza in maniera equa il subingresso di determinati, nuovi titolari nei rapporti giuridici trasmissibili che riguardavano il soggetto defunto, detto de cuius, quando era ancora in vita.
Il diritto ereditario
Nel diritto ereditario i rapporti trasmissibili sono quelli che non si estinguono con la morte del soggetto. Quindi in via generale si trasmettono i diritti patrimoniali assoluti (proprietà, altri diritti reali e le relative azioni), tranne quelli personalissimi come l’usufrutto, l’uso, l’abitazione, che si estinguono con la morte del loro titolare. Contratti e obbligazioni pure si trasmettono, purché non fondati sulle qualità personali della parte; così pure i rapporti inerenti all’azienda, di cui il de cuius fosse titolare.
Tutti i rapporti non patrimoniali, sia personalissimi (diritti della personalità), che familiari (matrimonio, potestà parentale) si estinguono con la morte del titolare.
La successione
La successione ereditaria che si apre al momento del decesso della persona nel luogo del suo ultimo domicilio, determina il trasferimento delle posizioni giuridiche, attive o passive, dal defunto al successore e, secondo una prima distinzione, può essere di due tipi:
a) a titolo universale con la quale l’erede subentra (in quota o per l’intero) nella totalità dei diritti e degli obblighi che non si estinguono con la morte del de cuius e
b) a titolo particolare con cui il successore, detto legatario, subentra solo in uno o più rapporti patrimoniali ben precisi e definiti del defunto.
Da una tale configurazione delle due tipologie deriva un primo fondamentale effetto che vale la pena subito di evidenziare. Chi è chiamato a subentrare in tutti i rapporti patrimoniali trasmissibili acquisisce anche gli eventuali debiti del de cuius, quindi soltando accettando volontariamente l’eredità, assume la posizione di erede; al contrario il legatario diventa automaticamente tale dall’apertura della successione senza che sia necessaria alcuna accettazione del lascito, ricevendo in via generale solo un vantaggio dall’attribuzione patrimoniale. Il legatario non è tenuto al pagamento dei debiti ereditari, gravanti solo sugli eredi in proporzione alle loro quote, anche se il testatore può prevedere per il legatario il compimento di una determinata prestazione, entro il limite comunque del valore del bene ricevuto.
Il diritto ereditario disciplina tre tipi di successione:
- testamentaria: il defunto ha disposto nell’atto di testamento con le modalità che vedremo, l’assegnazione del proprio patrimonio agli eredi ed eventualmente ai legatari;
- legittima: in mancanza di un testamento o nel caso di un testamento successivamente dichiarato invalido, interviene la legge ad individuare gli eredi nelle persone degli stretti congiunti del defunto e ad assegnare loro i beni dell’asse ereditario. La successione legittima può svolgere una funzione residuale rispetto a quella testamentaria, applicandosi per quei beni eventualmente esclusi dal testamento. In altri termini, se il testamento non disciplina l’intera successione, questa sarà in parte testamentaria e in parte legittima;
- necessaria: è prevista quando il testatore abbia disposto dei propri beni, ma senza rispettare i diritti garantiti dalla legge ai congiunti più stretti, a cui spetta sempre di diritto una quota di eredità.
Capacità di succedere e indegnità
Per poter ricevere un’eredità basta essere viventi o anche solo nascituri concepiti al tempo di apertura della successione (sono considerati “concepiti”coloro che nascono entro i 300 giorni dalla morte del de cuius, ma la partecipazione alla successione è comunque subordinata all’evento della nascita); altresì possono succedere le persone giuridiche, anche se enti non riconosciuti, sia che esistano, sia che debbano essere costituiti secondo le modalità indicate dal testatore.
Alcuni soggetti tuttavia perdono la capacità di succedere, quando sono ritenute indegne dalla legge, ossia immeritevoli di fruire dei benefici dell’eredità, per aver commesso atti particolarmente gravi nei confronti del defunto o dei suoi congiunti. Quindi risulta indegno a succedere:
- chi ha volontariamente ucciso o tentato di uccidere il de cuius o i suoi congiunti e la sua punibilità non sia stata esclusa dalla legge penale;
- chi ha commesso sempre ai danni di tali persone un fatto al quale la legge dichiara applicabili le disposizioni sull’omicidio;
- chi ha calunniosamente denunciato una di tali persone o falsamente testimoniato contro di esse, purché si tratti di condotte accertate in un giudizio penale;
- chi ha forzato con violenza o dolo la volontà testamentaria o ha distrutto, falsificato, alterato od occultato il testamento.
Il testatore può “riabilitare” l’indegno a succedere, a tal fine manifestando la sua volontà in due modi: espressamente con atto pubblico o nel testamento, oppure tacitamente indicando sempre nel testamento il nome di quella persona quale erede, pur conoscendo la causa d’indegnità.
>> Casi di indegnità: leggi
Successione ereditaria: cosa fare
Alla morte della persona (naturale o dichiarata presunta da un accertamento giudiziale) i successori devono sincerarsi dell’esistenza o meno di un testamento, per subentrare al defunto secondo le modalità dallo stesso stabilite o previste dalla legge.
Normalmente il notaio a cui viene presentato il testamento scritto di pugno dal testatore o che ha predisposto il testamento pubblico (vedremo poi le varie forme testamentarie) provvede subito, alla notizia del decesso, ad informare i successori circa i loro diritti e progressivamente agli adempimenti necessari per attuare i meccanismi di successione. Nel caso permangano dubbi sull’esistenza o meno di un testamento i successori potranno effettuare una ricerca presso il Consiglio Notarile Distrettuale del territorio dell’ultimo domicilio del defunto.
La dichiarazione di successione
Comunque, in presenza o meno di volontà espresse dal testatore, entro un anno dalla morte del de cuius,
- i chiamati all’eredità,
- gli eredi che hanno accettato, espressamente o tacitamente, l’eredità,
- i legatari testamentari,
- gli eventuali rappresentanti legali degli eredi o dei legatari,
- coloro che hanno il possesso dei beni di proprietà della persona scomparsa (di cui non si hanno più notizie dal almeno due anni), per la quale hanno richiesto al Tribunale di dichiararne l’assenza,
- gli amministratori dell’eredità, nominati se il testamento designa un erede sotto condizione, cioè al verificarsi di un certo evento futuro e incerto,
- il curatore dell’eredità giacente, nominato dal Tribunale per amministrare l’eredità in caso di rinuncia degli eredi non in possesso dei beni ereditari oppure nell’attesa venga dichiarata accettazione o meno per gli altri eredi,
- gli esecutori testamentari, incaricati dal de cuius per l’esecuzione delle sue volontà,
- i trustee, ossia i soggetti terzi cui è affidata la gestione e protezione dei propri averi, senza cederne proprietà e godimento con la costituzione di un trust dovranno presentare all’Agenzia delle Entrate (ufficio locale dell’ultima residenza del defunto) la dichiarazione di successione che dal 01.01.2019 deve essere trasmessa solo telematicamente (è preferibile attraverso un soggetto delegato, commercialista o CAF), per velocizzare la procedura, il pagamento delle imposte dovute e l’automatica voltura catastale per gli immobili ereditati; a tal fine l’Agenzia delle Entrate rende disponibile sul proprio sito internet un programma software gratuito per la compilazione e l’invio con le necessarie istruzioni e l’elenco dei documenti da allegare.
Contestualmente alla presentazione della dichiarazione di successione il soggetto deve provvedere al pagamento delle imposte ipotecarie, catastali, di bollo, delle tasse ipotecarie e dei tributi speciali in autoliquidazione, potendo ottenere dopo i controlli dell’Ufficio una ricevuta e copia semplice della dichiarazione di successione con gli estremi di registrazione, comunque inserita nel “cassetto fiscale” del contribuente.
Per quanto riguarda il contenuto della dichiarazione di successione essa deve comprendere tutti i beni e i diritti che spettavano al defunto, ossia i beni mobili, immobili, titoli al portatore, contanti, valori preziosi, rendite, pensioni, crediti, liquidazioni quote societarie, azioni, obbligazioni, quote sociali, aziende, BOT e CCT anche se esenti dall’imposta di successione. Non devono essere dichiarate in successione le indennità di fine rapporto del prestatore di lavoro e quelle spettanti agli eredi per assicurazioni previdenziali obbligatorie o sulla vita.
A seguito della presentazione della dichiarazione di successione, del pagamento delle imposte e del rilascio dell’attestato da parte dell’Agenzia delle Entrate, gli eredi, divenuti tali per aver accettato l’eredità, possono ottenere la liquidazione e la ripartizione di quanto depositato nei conti correnti di cui era titolare il defunto, mentre per i beni immobili la denuncia di successione è trasmessa al Catasto e alla Conservatoria dall’Agenzia delle Entrate per l’aggiornamento dei dati.
Chi non deve presentare la dichiarazione di successione?
Sia il coniuge e i parenti in linea retta a cui è stato devoluto un attivo ereditario non superiore a € 100.000,00, senza beni immobili o diritti reali immobiliari su fabbricati o terreni, sia chi ha rinunciato all’eredità e al legato, non deve presentare la dichiarazione di successione. È previsto per gli eredi in tali condizioni la compilazione di una dichiarazione di responsabilità, con la quale confermeranno la sussistenza delle condizioni di cui sopra.
Se il defunto era titolare del solo diritto di usufrutto su beni immobili, gli eredi potranno comunque fruire dell’esonero in quanto tale diritto si estingue con la morte.
Successione ereditaria: le fasi
La successione ereditaria si realizza attraverso alcuni passaggi, spesso temporalmente coincidenti, pur trattandosi di fasi cui il diritto ereditario attribuisce effetti distinti e ben definiti: essi sono l’apertura della successione che individua l’ambito spaziale e temporale del meccanismo successorio, la vocazione (dal latino “vocare”, ossia chiamare) in cui si individuano coloro che dovranno succedere in base ad un titolo che ne legittima la chiamata (il testamento o la legge), la delazione (dal latino “deferre”, ossia attribuire) con la quale è offerto e messo a disposizione dei soggetti delati (chiamati a succedere nella fase immediatamente precedente) il patrimonio del defunto.
Poiché la delazione non produce, come effetto immediato, l’acquisto dell’eredità ma solo il diritto di accettarla, occorre che i soggetti delati manifestino la loro accettazione dell’eredità nelle forme e modalità che di seguito vedremo.
>> Apertura della successione: leggi l’
articolo 456 del codice civile commentato
L’accettazione dell’eredità
L’erede diventa tale con effetto dal giorno di apertura della successione solo dopo aver accettato l’eredità.
L’accettazione dell’eredità può essere espressa con un atto ricevuto dal notaio o dal cancelliere del Tribunale del luogo dell’ultimo domicilio del defunto, oppure può essere tacita quando si desume anche solo da un comportamento che confermi la volontà di accettare e che non potrebbe essere realizzato se non nella qualità di erede, pertanto incompatibile con l’intenzione di rinunciare.
La legge configura alcune ipotesi tipiche di accettazione tacita per l’erede che dona o vende un bene ereditario, cede o rinuncia in cambio di un corrispettivo ai diritti di successione, oppure, trovandosi nel possesso dei beni ereditari, non redige l’inventario entro tre mesi dall’apertura della successione come richiesto dal codice civile. Altrettanto la giurisprudenza ha rinvenuto altre ipotesi di accettazione tacita dell’eredità, quali ad esempio incassare un assegno dato in pagamento di un credito al defunto, pagare i debiti ereditari con denaro del patrimonio ereditario o accettare una transazione per soddisfare i creditori del de cuius, ricorrere contro un accertamento fiscale relativo al pagamento dell’imposta di successione, promuovere azioni giudiziali a tutela dei propri interessi di erede (impugnare il testamento, azionare la procedura di divisione, richiedere il pagamento di crediti del defunto).
Diversamente non equivalgono ad accettazione tacita dell’eredità atti in qualche modo solo conservativi di una gestione dei beni, quali ad esempio la presentazione della denuncia di successione con il pagamento della relativa imposta, il pagamento delle spese funerarie, il possesso dei beni avendo però predisposto l’inventario entro tre mesi dall’apertura della successione.
Tacita o espressa che sia, è un atto unilaterale e non recettizio (come espressione di un unico soggetto, che, per essere valida, non necessita di accettazione altrui) e non può essere parziale, ossia riguardare solo alcuni beni con esclusione di altri, né subordinato al verificarsi di una condizione o di un termine. E’ inoltre irrevocabile e non ripetibile, ossia una volta manifestata la volontà di accettare non è possibile rinunciare alla stessa eredità; deve compiersi infine entro dieci anni dall’apertura della successione o dall’avveramento di un’eventuale condizione apposta all’istituzione di erede.
Solo nel caso in cui tra coloro che sono chiamati/delati all’eredità vi sia qualcuno che ritardi ad accettare o meno può essere fissato dal Giudice, su richiesta di chiunque vi abbia interesse, un termine abbreviato, affinché venga resa finalmente una decisione (actio interrogatoria), in mancanza della quale durante il tempo concesso il soggetto perde il suo diritto di accettare.
Un’ipotesi particolare è quella del chiamato all’eredità che muore senza aver esercitato il suo diritto: esso si trasmette agli eredi (art. 479 c.c.), poiché il diritto di accettazione ha prevalente carattere patrimoniale e si trasferisce agli eredi insieme al patrimonio del defunto.
L’accettazione dell’eredità può essere impugnata?
L’accettazione dell’eredità, espressa o tacita, può essere impugnata solo per violenza o dolo. Non è possibile contestarla se viziata da errore, perché l’erede, per evitare un’erronea valutazione del patrimonio ereditario, potrebbe comunque accettare con beneficio d’inventario.
L’azione si prescrive in cinque anni dal giorno in cui è cessata la violenza o è stato scoperto il dolo e con la sentenza di annullamento l’accettazione perde la sua efficacia dal momento in cui era stata compiuta con il ripristino della situazione giuridica preesistente.
Tipologie di accettazione
L’accettazione dell’eredità può essere di due tipi: pura e semplice e con beneficio d’inventario.
L’accettazione pura e semplice comporta che il patrimonio ereditato si confonda con quello personale dell’erede che diverrà responsabile anche per le passività gravanti sull’eredità; pertanto se queste sono superiori all’attivo ereditario, l’erede è tenuto a pagare i debiti ereditari anche con il proprio patrimonio e i suoi creditori sono altrettanto legittimati ad attaccare quanto ereditato per la commistione patrimoniale di cui si diceva.
L’accettazione così espressa o tacitamente manifestata non può successivamente essere convertita in accettazione con beneficio d’inventario, per correggere ed evitare solo in seguito uno status di erede nel complesso negativo, per il quale l’entità dei debiti sovrasti un esiguo vantaggio patrimoniale. Questo perché, come si diceva, una volta manifestato, l’atto di accettazione non può essere revocato, né si può ripetere e il chiamato/delato aveva fin da subito la possibilità di rinunciare o accettare con beneficio d’inventario.
L’accettazione con beneficio d’inventario
E’ l’atto di accettazione che il chiamato/delato sceglie, quando, a conoscenza dell’attivo ereditario, vuole evitare la confusione tra il suo patrimonio e quello del defunto, potendo così rispondere dei debiti ereditari solo nei limiti del valore dei beni ricevuti.
L’accettazione beneficiata comunque è obbligatoria per i chiamati/delati all’eredità che siano minori di età, interdetti, inabilitati, persone giuridiche, fondazioni, associazioni ed enti non riconosciuti ed è compiuta per la particolarità dei soggetti dai loro rappresentanti espressamente a tal fine autorizzati (tutori, protutori, ecc.).
A pena di nullità colui che accetta con beneficio d’inventario sottoscrive una dichiarazione presso il notaio o la cancelleria del tribunale del luogo di apertura della successione (poi inserita nel relativo Registro delle Successioni e trascritta), preceduta o seguita dalla redazione dell’inventario dei beni. Più precisamente
- il chiamato/delato nel possesso dei beni deve compiere l’inventario entro tre mesi dall’apertura della successione e nei quaranta giorni successivi esprimere accettazione o rinuncia;
- se non è nel possesso dei beni ha dieci anni di tempo per accettare anche con beneficio d’inventario, ma presentata la dichiarazione ha tre mesi di tempo per concludere l’inventario oppure effettuato prima l’inventario ha quaranta giorni di tempo per accettare o rinunciare. Se tali adempimenti sono ritardati o addirittura omessi l’accettazione in sé vale lo stesso ma diventa pura e semplice con le conseguenze di commistione tra i patrimoni che abbiamo indicato.
Allo stesso modo decadrà dal beneficio della limitazione di responsabilità per le passività ereditarie oltre l’attivo se ad esempio aliena un bene immobile senza autorizzazione del Giudice o se verrà accertato giudizialmente che nell’inventario è stata omessa in malafede l’indicazione di beni o sono state inserite passività inesistenti.
La presenza di più creditori infine richiede, prima di un rendiconto finale, una fase di liquidazione in cui l’erede provvede al pagamento degli eventuali creditori e legatari, sempre a pena di decadenza dal beneficio d’inventario.
L’accettazione con beneficio d’inventario non può essere tacita, ma sempre formalmente espressa.
La successione necessaria
La successione necessaria è sostanzialmente uno strumento di tutela per i cd. legittimari, legati al defunto da rapporti di stretta parentela e coniugio e nei confronti dei quali anche la libertà testamentaria o di disporre in vita dei propri beni con donazioni e altri atti di liberalità è limitata dalla legge.
Un’esigenza sociale di solidarietà tra i congiunti più stretti comporta difatti che il patrimonio ereditario sia suddiviso in una quota indisponibile (o legittima o necessaria), riservata ai legittimari e in una disponibile di cui il testatore può liberamente disporre.
Il legittimario pretermesso è pertanto il soggetto che, pur avendo per legge automaticamente diritto alla quota dei beni ereditari perché a lui legato da una stretta relazione familiare, è stato escluso dal testamento che dispone a favore degli eredi testamentari oltre la porzione disponibile.
Ma chi sono i legittimari e quanto spetta loro?
Per l’art. 536 del codice civile i legittimari sono il coniuge, i figli, gli ascendenti, a cui spettano, a seconda delle possibili combinazioni, le seguenti quote:
- esistenza solo di un unico figlio: 1/2 quota legittima al figlio, 1/2 quota disponibile;
- esistenza di soli più figli: 2/3 quota legittima figli, 1/3 quota disponibile;
- esistenza dei soli ascendenti: 1/3 quota legittima ascendenti, 2/3 quota disponibile;
- esistenza del solo coniuge: 1/2 quota legittima coniuge, 1/2 quota disponibile;
- esistenza del coniuge e di un solo figlio: 1/3 quota legittima al figlio, 1/3 quota legittima al coniuge, 1/3 quota disponibile;
- esistenza del coniuge e di più figli: 1/2 quota legittima figli, 1/4 quota legittima coniuge, 1/4 quota disponibile;
- esistenza del solo coniuge e ascendenti senza figli: 1/2 quota legittima coniuge, 1/4 quota legittima ascendenti, 1/4 quota disponibile.
Al coniuge spettano anche, in concorrenza con altri chiamati e senza gravare sulla legittima, il diritto di abitazione sulla casa di residenza familiare (se di proprietà del defunto) e di uso degli arredi in essa contenuti.
Cosa può fare il legittimario pretermesso?
Il legittimario che ritiene di aver subito una lesione, totale o parziale, della sua quota di legittima per le donazioni compiute in vita dal defunto o per le disposizioni testamentarie può esercitare entro dieci anni dall’apertura della successione l’azione di riduzione, ossia chiedere al Giudice un provvedimento che disponga di ridurre le attribuzioni disposte a favore di altri chiamati e di terzi (legati compresi), per riequilibrare e integrare la propria quota di legittima.
Se il legittimario vince la causa, ma il beneficiario (donatario o erede testamentario) non restituisce spontaneamente i beni, dovrà essere esercitata sempre nei suoi confronti anche l’azione di restituzione.
La successione legittima
Quando non c’è un testamento, l’eredità si devolve per legge al coniuge, ai figli e ai parenti fino al sesto grado; in mancanza di questi soggetti eredita lo Stato che risponderà dei debiti ereditari solo entro il limite dei crediti che rientrano nel patrimonio ereditario.
Ad una lettura superficiale delle norme che regolano la successione necessaria e legittima potrebbe sorgere qualche dubbio circa la mancanza di differenze sostanziali fra i due istituti; al contrario è necessario ribadire come la successione necessaria si distingua per la lesione della quota indisponibile (appunto, legittima) in danno dei legittimari che non possono essere “ignorati” dal testatore.
Tornando alla successione legittima invece, constatiamo l’assenza delle ultime volontà da parte del defunto, per sopperire la quale interviene la legge ad indicare quali eredi le persone legate da uno stretto rapporto di parentela con il defunto.
La successione legittima si attua anche quando il testamento è stato dichiarato nullo o è stato annullato, quando non contiene disposizioni patrimoniali o dispone solo per alcuni beni, escludendone altri e proprio per quest’ultima ipotesi si definisce “residuale”, perché può concorrere con la successione testamentaria, laddove questa sia deficitaria.
Quanto agli eredi i parenti più vicini sono preferiti rispetto a quelli più lontani, quindi: al padre e alla madre succedono i figli in parti uguali, escludendo tutti gli altri parenti ad eccezione, come vedremo, del coniuge; un unico figlio pertanto erediterà tutto il patrimonio.
In mancanza di fratelli/sorelle e loro discendenti succedono il padre e la madre in parti uguali o il genitore che sopravvive, escluso l’adottante della persona maggiore di età.
In mancanza di figli, genitori, fratelli/sorelle e loro discendenti succedono i nonni, cioè gli ascendenti della linea paterna e per l’altra metà quella della linea materna.
In mancanza di discendenti, genitori e ascendenti succedono i fratelli/sorelle in parti uguali, ma i fratelli/sorelle unilaterali (che avevano in comune con il de cuius un genitore) ricevono la metà della quota che conseguono i fratelli/sorelle germani (che avevano in comune con il de cuius entrambi i genitori).
In mancanza di discendenti, genitori, ascendenti, fratelli/sorelle e loro discendenti succedono i parenti prossimi, senza distinzione di linea, entro il sesto grado.
In mancanza di successibili, come si diceva, l’eredità si devolve allo Stato, erede necessario, al quale non è richiesta l’accettazione, né può rinunciare.
E se concorrono persone con un diverso grado di parentela?
In presenza di genitori e fratelli consanguinei del defunto essi sono ammessi alla sua successione per capi, purché in nessun caso la quota in cui succedono i genitori sia inferiore alla metà;
In presenza di genitori e fratelli unilaterali del defunto ciascuno di essi consegue la metà della quota che spetterebbe a ciascuno dei germani o dei genitori, salva in ogni caso la quota della metà in favore dei genitori
Con la concorrenza del coniuge la successione legittima assume una diversa attribuzione di quote:
- la successione del solo coniuge, in mancanza di parenti, ascendenti, figli e loro discendenti, gli/le attribuisce l’intero patrimonio;
- la successione del coniuge con gli ascendenti del defunto senza altri parenti oppurela successione dei fratelli/sorelle senza ascendenti attribuisce 1/3 agli ascendenti (o fratelli/sorelle per la seconda sotto-ipotesi), 2/3 al coniuge;
- la successione del coniuge con un figlio attribuisce ad entrambi parti uguali nella misura di ½;
- la successione del coniuge con più figli attribuisce 1/3 al coniuge, 2/3 ai figli;
- il concorso del coniuge con fratelli/sorelle senza i figli attribuisce 2/3 al coniuge e 1/3 ai fratelli;
- il concorso del coniuge con i genitori (o in loro mancanza, i nonni) e i fratelli/sorelle attribuisce 2/3 al coniuge, ¼ ai genitori/nonni, 1/12 ai fratelli;
- il concorso tra coniuge e fratelli/sorelle attribuisce 2/3 al coniuge e 1/3 ai fratelli.
La successione testamentaria
La successione testamentaria è regolata dal testamento, ossia da un atto con il quale il soggetto dispone dei suoi averi, o parte di essi, per il tempo in cui avrà cessato di vivere.
L’art. 587 del codice civile indica le caratteristiche essenziali del testamento:
- la revocabilità, ossia una persona ha la possibilità di modificare o revocare le sue decisioni fino al momento della sua morte;
- la qualità di atto personale, poiché solo il testatore può esprimere le sue ultime volontà con un testamento;
- l’unilateralità, ossia la qualità di atto che prescinde dalla volontà altrui;
- la tipicità, poiché è l’unico atto previsto dal diritto ereditario con cui il testatore stabilisce il trasferimento dei suoi beni per il periodo successivo alla sua morte;
- la qualità di atto non recettizio, perché i suoi effetti si producono per la semplice manifestazione di volontà;il formalismo, ossia forme e modalità attraverso cui il testamento può esplicare tutta la sua efficacia.
Il testamento normalmente contiene disposizioni patrimoniali, ossia il suo autore stabilisce la sorte, la destinazione dei propri beni mobili e immobili, ma può anche contenere disposizioni di carattere non patrimoniale, ad esempio, puramente d’inclinazione morale come l’obbligo assegnato all’erede di far celebrare periodicamente una messa in memoria dei defunti o come il riconoscimento di un figlio naturale. Rimane comunque un atto unico, che può contenere varie disposizioni o espressioni delle proprie, ultime volontà, non costituendo comunque nel complesso una statuizione immobile e immutabile, perché, come si diceva, il testatore può cambiare idea, “correggere” quanto disposto, lasciare un altro testamento che sostituisca il precedente, tutto per il principio della libertà testamentaria.
La possibilità che contenga varie disposizioni nell’ambito di una pur sempre unica dichiarazione di volontà comporta l’autonomia delle singole determinazioni, in modo che l’eventuale invalidità di una di esse non possa inficiare l’intero atto.
In merito al concetto di libertà testamentaria va specificato che essa non è illimitata, perché il testatore può disporre liberamente di una porzione del suo patrimonio, riservata dalla legge la cd. porzione indisponibile alla tutela dei rapporti familiari.
Chi può fare testamento o esserne destinatario?
Chiunque può disporre dei propri beni con un testamento, purché abbia compiuto 18 anni, non sia interdetto o privo della capacità d’intendere e di volere nel momento della stesura dell’atto.
La possibilità di testare infatti presuppone capacità di discernimento, esclusa o minata da ogni possibile alterazione dello stato psicofisico della persona.
Per essere beneficiati dalle disposizioni testamentarie altrui invece occorre, a pena di nullità delle disposizioni, non trovarsi in alcune particolari posizioni dalle quali deriva quello che tecnicamente si definisce uno stato d’incapacità giuridica relativa, che riguarda ad esempio il notaio o altro pubblico ufficiale che abbia ricevuto il testamento pubblico o segreto, il tutore o il protutore, ossia figure che non possono, nemmeno per interposta persona, ricevere da questo lasciti, senza ingenerare il sospetto che abbiano condizionato a proprio favore il testatore in forza della funzione svolta.
Tipi di testamento
I testamenti ordinari
Nell’ambito di una prima distinzione tra le forme testamentarie troviamo quelle ordinarie e quelle speciali. Il primo gruppo comprende
- il testamento olografo, che con la forma di una scrittura privata è redatto per intero di pugno, datato e sottoscritto dal testatore, poi conservato presso di sé o persona di stretta fiducia. Il testamento olografo è nullo quando manca l’autografia o la sottoscrizione del suo autore, soltanto annullabile in mancanza di altri elementi;
- il testamento pubblico, che è redatto dal notaio, il quale, alla presenza di due testimoni, riceve le dichiarazioni del testatore, ne trascrive fedelmente il contenuto, dandone lettura sempre in presenza dei testimoni, indica luogo e data del ricevimento e ora della sottoscrizione sua, dei testimoni e del testatore stesso. In quanto atto pubblico esso costituisce piena prova di quanto avvenuto presso il notaio sino a querela di falso ed è nullo quando manca la forma scritta e notarile, quando manca la sottoscrizione del professionista e del testatore stesso. Per vizi minori sarà annullabile entro 5 anni dalla data di pubblicazione delle disposizioni testamentarie;
- il testamento segreto, è redatto dal testatore o da un terzo anche con mezzi meccanici, sottoscritto solo dal testatore e consegnato in presenza di testimoni al notaio secondo formalità ben precise. Il testatore consegna difatti la scheda testamentaria sigillata, contenente le sue ultime volontà, al notaio che vi appone l’atto di ricevimento, seguito dalla data e dalla sua sottoscrizione, unitamente a quelle dei testimoni e del testatore stesso. E’ sempre il notaio infine che redige e consegna al testatore un verbale di restituzione, potendo questi decidere in ogni momento di ritirare la scheda testamentaria. Il testamento segreto è nullo quando manca la forma scritta anche dell’atto di ricevimento, oltre alle mancate sottoscrizioni del notaio e del testatore. Anche in questo caso altri vizi di forma rendono l’atto annullabile, da farsi valere entro 5 anni dalla data di esecuzione delle disposizioni testamentarie.
Tutte queste forme e tipologie non incidono sul valore delle volontà testamentarie, non esistendo una forma o una tipologia preferibile all’altra, poiché solo il momento in cui viene dichiarata la volontà è fondamentale, in modo tale che il testamento successivo prevalga sempre sul precedente a prescindere dalla forma adottata.
A cosa serve la pubblicazione di un testamento?
In proposito occorre distinguere tra i vari tipi di atto, dal momento che la pubblicazione di un testamento non è requisito per la sua validità o efficacia ma della conoscenza da parte dei suoi destinatari circa il suo contenuto. Il testamento pubblico è immediatamente eseguibile in quanto atto pubblico, mentre un testamento olografo o segreto deve essere pubblicato per essere eseguito e, considerate tali diverse tipologie, ne deriva che il testamento segreto può essere subito pubblicato dal notaio alla morte del de cuius, ma il testamento olografo deve essere presentato al professionista da chi ne custodiva, incaricato dal testatore, l’integrità. E’ possibile pertanto che, se conservato presso il suo autore che mai ne ha rivelato la presenza a familiari o amici, non venga mai rivelato.
Tecnicamente il notaio procede alla pubblicazione con la redazione, davanti a due testimoni e nella forma dell’atto pubblico, di un verbale nel quale viene descritto lo stato del testamento, riprodotto il contenuto e menzionata la sua apertura e i sigilli apposti. Il verbale è così sottoscritto dalla persona che ha presentato il testamento, dai testimoni e dal notaio, successivamente tutto viene trasmesso alla cancelleria del Tribunale del luogo di apertura della successione e sono informati i successori circa l’esistenza del testamento. Un testamento olografo può essere comunque eseguito indipendentemente dalla sua pubblicazione, se gli eredi ne danno spontaneamente esecuzione una volta a conoscenza, ma in caso di contestazioni non sarebbe possibile procedere in giudizio per far valere le proprie ragioni.
I testamenti speciali
Oltre ai testamenti ordinari finora descritti esistono i testamenti speciali cui si ricorre in via straordinaria, quando per ragioni eccezionali non è possibile redigere un testamento ordinario. Per questo le formalità adottate sono semplificate e l’atto diventa inefficace dopo tre mesi dalla cessazione delle condizioni eccezionali che hanno richiesto una simile forma di testamento, identificate dal codice civile nelle ipotesi di malattia contagiosa, calamità naturale, infortunio, viaggio in nave o a bordo di un aereo, di militari e persone al seguito delle forze armate dello Stato.
Quando un testamento non è valido?
Riassumendo e sintetizzando i casi d’invalidità di un testamento (o delle singole disposizioni che lo compongono), essi sono:
- la nullità dell’intero atto per mancanza delle forme previste dalla legge, del testamento congiuntivo o reciproco, cioè redatto da più testatori a favore di altri, per violenza fisica, per incapacità di ricevere del notaio e del tutore, per la presenza di determinati elementi (un motivo, una condizione) che, di natura illecita, hanno condizionato in maniera esclusiva il testatore, per indeterminatezza del beneficiario;
- l’annullabilità dell’intero atto per la presenza di errore nel disporre delle proprie sostanze, di violenza o dolo, di un difetto di forma per la quale non sia prevista la nullità, per incapacità di disporre per testamento.
Comunione ereditaria e divisione
La presenza di più coeredi che hanno accettato l’eredità origina una particolare forma di comunione ordinaria definita comunione ereditaria, caratterizzata dalla contitolarità dei partecipanti estesa ad ogni rapporto e diritto compreso nell’asse ereditario.
I coeredi rispondono in via generale dei debiti ereditari in proporzione alle quote loro spettanti e, se uno di loro, paga per l’intero il debito del de cuius o comunque in misura superiore al valore della sua quota, ha diritto di rivalsa nei confronti degli altri coeredi; al contrario i crediti del defunto non si ripartiscono pro quota tra i coeredi, ma entrano nella comunione ereditaria, così che il singolo erede può chiedere la soddisfazione dell’intero credito comune o della parte proporzionale alla sua quota, senza la necessità di coinvolgere gli altri contitolari nella causa, sempre che il debitore, contestando la sussistenza del credito, non chiami tutti in giudizio.
In merito alla possibilità per ogni singolo coerede di vendere in parte o tutta la propria quota ad un estraneo alla comunione occorre che la proposta di alienazione con indicazione del prezzo sia notificata agli altri coeredi, cui spetta il diritto di prelazione (cd. retratto successorio); la mancanza della notifica consente ai coeredi interessati di riscattare la quota in parti uguali da chiunque l’abbia acquistata sino allo scioglimento della comunione ereditaria, quindi al realizzarsi della divisione.
La divisione ereditaria: come si realizza?
La comunione ereditaria si scioglie attraverso il meccanismo della divisione ereditaria, al cui esito il coerede diventa unico titolare dei beni ereditati non singolarmente ma per la quota ideale a lui assegnata; può essere di tre tipi:
- contrattuale, quando si realizza in base ad un accordo tra i coeredi, un vero e proprio contratto che, quando ha per oggetto beni immobili o diritti immobiliari, deve avere la forma scritta, essere autenticato da un notaio e trascritto;
- giudiziale, quando in mancanza di un accordo, ci si rivolge al giudice. Di recente introdotta, esiste anche la divisione giudiziale semplificata, affidata a un notaio o avvocato nominato dal Tribunale quando non c’è contestazione sul diritto alla divisione e sulle quote;
- testamentaria, quando è stabilita dallo stesso testatore.
La divisione può essere sempre chiesta da uno o più coeredi nei confronti di tutti gli altri con esclusione dei semplici chiamati all’eredità (che non hanno ancora accettato), dei legatari e di eventuali legittimari pretermessi in attesa del buon esito dell’esercizio dell’azione di riduzione. Soltanto la presenza tra i chiamati all’eredità di un concepito, di un minorenne o la pendenza di un giudizio che accerti la filiazione legittima o naturale costituiscono un impedimento al compimento della divisione ereditaria ed è facile comprenderne il perché: per il concepito occorre attenderne la nascita, il minorenne deve raggiungere la maggiore età e infine un accertamento giudiziale che stabilisca o meno lo status di figlio deve arrivare al suo esito, perché da una situazione di comunione si abbiano tutte chiare le posizioni, per poter procedere alla divisione.
Quanto ai beni immobili, se divisibili, non si pongono particolari problemi, poiché ciascun coerede può chiedere la sua parte in natura come per i beni mobili; al contrario, se il loro frazionamento è necessario per operare la divisione, ma richiede soluzioni tecniche costose, potendo diminuire degli stessi valore e funzionalità, per l’art. 720 del codice civile, tali beni devono essere interamente compresi nella porzione del coerede che ha diritto alla quota maggiore con addebito dell’eventuale eccedenza, altrimenti possono essere assegnati alle porzioni di più coeredi che congiuntamente ne richiedano l’attribuzione.
Si procede allora con la vendita del bene, se alle soluzioni così prospettate non hanno voluto aderire i coeredi, per arrivare infine alla cd. resa dei conti tra condividenti, alla formazione dello stato passivo e attivo dell’eredità, alla determinazione delle porzioni ereditarie e dei conguagli o rimborsi reciproci; l’iter prevede alcuni passaggi preliminari in cui i coeredi devono conferire (in natura o per equivalente) tutto ciò che era stato loro donato dal defunto in vita e imputare alla propria quota i debiti verso il de cuius e verso gli altri coeredi per via della comunione. Ciò avviene in applicazione della cd. collazione che evita disparità di trattamento tra coeredi che abbiano già ricevuto beni dal testatore prima della sua morte, mentre con l’imputazione di eventuali debiti il valore della quota si riduce preventivamente, per evitare che il coerede debitore, una volta ricevuta integra la quota, poi si renda inadempiente per quelli che sono i suoi debiti verso la massa ereditaria. Al contempo, in presenza di beni donati non conferiti in natura o di debiti da imputare, gli altri eredi prelevano dalla massa ereditaria beni in proporzione delle loro quote.
La divisione si conclude con la stima di ciò che rimane nella massa e con la formazione delle porzioni per gli eredi secondo le quote ad essi spettanti.
La donazione
La donazione è un contratto con il quale, per spirito di liberalità, una parte arricchisce l’altra, disponendo a favore di questa di un suo diritto o assumendo verso la stessa un’obbligazione. Si presuppone quindi che il donatario (cioè chi riceve) non fruisca solo di un semplice vantaggio ma di un vero e proprio incremento patrimoniale con conseguente diminuizione economica per il donante e che all’origine di tale atto vi sia solo spirito di liberalità, ossia la volontà di arricchire il beneficiario senza voler ottenere nulla in cambio.
La donazione è un atto irrevocabile, una volta disposta non è possibile modificarne decisione ed esecuzione, tanto che la forma richiesta è rigorosa ed essenziale per la sua validità; pertanto deve essere conclusa con atto pubblico alla presenza di due testimoni.
Per quanto attiene al diritto successorio la donazione rileva nella fase di ripartizione delle porzioni ereditarie, altresì rileva per la presenza dei legittimari sotto un duplice profilo. Una donazione ricevuta è considerata un anticipo di eredità, ma, qualora il testatore in vita abbia disposto della quota riservata o di parte di essa con donazioni, il legittimario potrà agire in giudizio per ottenere quanto sottratto al suo diritto con l’azione di riduzione della donazione, proponibile entro dieci anni dall’apertura della successione.
Ma cosa succede se il bene donato era un immobile successivamente venduto e il legittimario dopo l’azione di riduzione e il relativo buon esito lamenti ancora lesione della sua quota di riserva? Egli potrà recuperare il bene anche nei confronti del successivo acquirente con l’azione di restituzione nei confronti dei terzi non oltre vent’anni dalla trascrizione della donazione nei registri immobiliari.
La rinuncia all’eredità: soggetti legittimati, atto di rinuncia, effetti, revoca
Spesso ricevere un’eredità equivale ad incrementare il proprio patrimonio, ma non è sempre così quando le passività del defunto sovrastano l’attivo ereditario e accettare l’eredità significa farsene carico, pur con le possibili tutele consentite dall’accettazione con beneficio d’inventario.
Ecco che allora l’erede, o meglio il delato, può scegliere di rinunciare all’eredità con atto notarile o con una dichiarazione, sempre espressa e formale, alla cancelleria del Tribunale del luogo di apertura della successione, da inserirsi nel Registro delle Successioni.
Una particolare ipotesi, prevista dall’art. 481 c.c., determina la decadenza dal diritto di accettare se, a seguito di un’istanza di chi è interessato, il giudice imponga al chiamato/delato un termine entro il quale esprimersi, con la conseguenza che la decorrenza di questo termine senza alcuna dichiarazione equivale a rinuncia.
In via generale il diritto di rinunciare, speculare per tanti versi a quello di accettare, si prescrive in dieci anni, ma se il soggetto legittimato si trova a qualsiasi titolo nel possesso dei beni ereditari deve entro tre mesi dall’apertura della successione fare l’inventario dei beni, per non diventare, in mancanza di tale adempimento, erede puro e semplice; del resto, se pure ha effettuato l’inventario, ma nei quaranta giorni giorni successivi non dichiara espressamente di rinunciare (o accettare con beneficio di inventario) ugualmente diventa erede puro e semplice.
È evidente come per quest’ipotesi, potendo il possessore, magari familiare convivente del defunto, più agevolmente essere in grado di sottrarre od occultare i beni ereditari, la legge tuteli i diritti degli altri chiamati, dei creditori e legatari dell’asse ereditario.
Posta questa unica distinzione temporale, per qualunque altro chiamato non possessore la dichiarazione con la quale si manifesta la volontà di non subentrare al defunto nei suoi diritti e rapporti, indipendentemente dalla sussistenza o meno di un testamento, può essere espressa entro dieci anni dall’apertura della successione.
È inoltre una volontà che non può essere parziale, ossia limitata solo ad alcuni beni, né può essere sottoposta ad alcun termine o condizione (ad esempio, “rinuncio entro il prossimo mese a condizione che Tizio accetti”) e soprattutto deve essere fatta gratuitamente, perché, se effettuata dietro un corrispettivo da parte di un altro chiamato o anche di un terzo, si produce esattamente l’effetto contrario, cioé l’accettazione: un tale scambio difatti presupporrebbe cedere un bene di cui ancora non si è titolari, che in realtà nel diritto successorio si presume acquisito proprio con la tacita accettazione.
La rinuncia all’eredità, per essere valida, necessita delle forme in precedenza indicate e si perfeziona quando il chiamato la formalizza davanti al notaio o al cancelliere del Tribunale competente; è un atto non recettizio, ossia raggiunge il suo scopo indipendentemente dalla conoscenza che ne hanno gli altri chiamati all’eredità o partecipi della successione e non può essere fatto prima della morte del de cuius, perché ogni atto con il quale si dispone – anche in termini di rinunzia – dei propri diritti su una successione non ancora aperta, è nullo (divieto dei patti successori).
Tra gli effetti della rinuncia c’è quello retroattivo, che ne fa risalire la valenza al momento dell’apertura della successione, per cui il suo autore è considerato come se non fosse mai stato chiamato all’eredità, mentre, per quanto riguarda la successione legittima, un altro effetto è dato dal conseguente accrescimento delle singole parti spettanti ai coeredi legittimi che avrebbero concorso con il rinunciante se avesse accettato, salva l’applicazione del diritto di rappresentazione; naturalmente se il rinunziante è l’unico chiamato, l’eredità si devolve a coloro ai quali spetterebbe nel caso egli mancasse.
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Revoca del testamento (formula)
La rinuncia all’eredità può essere revocata?
Il rinunziante può comunque revocare la sua decisione e accettare l’eredità fino a quando il relativo diritto non si sia prescritto, salva l’avvenuta acquisizione dei beni da parte di altri chiamati e senza pregiudizio delle ragioni acquistate dai terzi anche sopra i singoli beni dell’eredità.
La forma della revoca (determinante una conseguente accettazione implicita) dovrebbe essere la stessa rigorosamente prevista per la rinuncia, ma ciò contrasterebbe con la possibilità di porre in essere comportamenti concludenti, proprio equivalenti ad una manifestazione tacita di accettazione.
In altri termini la revoca della rinuncia all’eredità non costituisce, anche sotto il profilo formale, un atto o negozio giuridico autonomo, ma l’effetto della sopravvenuta accettazione dell’eredità medesima da parte del rinunciante, il cui verificarsi, pertanto, va dedotto dal mero riscontro della validità ed operatività della successiva accettazione, espressa o tacita.
Quindi, al contrario dell’accettazione che una volta fatta non può essere revocata, la rinuncia, come già accennato, può essere sempre revocata, ciò comportando l’accettazione dei beni se non acquisiti nel frattempo da altri. In linea di massima se il comportamento del soggetto diventa incompatibile con la volontà di rinunciare, è chiaro che si tratterà di accettazione tacita.
La successione di titoli azionari e fondi comuni di investimento
Per presentare all’Ufficio competente dell’Agenzia delle Entrate la dichiarazione di successione dove sono indicati i rapporti bancari intestati e cointestati al defunto con il saldo alla data del decesso, la banca rilascia, su richiesta degli eredi, la certificazione ad uso successorio.
Formalizzato l’adempimento, gli eredi vengono contattati dall’istituto per procedere alla liquidazione dei rapporti bancari intestati al defunto, vengono raccolte le loro firme congiunte sugli atti che dispongono il trasferimento di somme o strumenti finanziari con la conseguente estinzione dei rapporti intestati alla persona deceduta.
Naturalmente la banca non ha titolo per entrare nel merito della formazione delle quote di liquidazione, limitandosi ad eseguire tecnicamente quanto indicato dagli eredi in ottemperanza delle regole successorie.
Nel caso specifico dei trasferimenti per successione di strumenti finanziari (titoli, fondi di investimento o altri valori mobiliari), poiché deve essere regolarmente applicata dalla banca la tassazione sul capital gain, ciascuna tipologia di strumenti finanziari in deposito dovrà essere prima trasferita ai singoli eredi per la quota ereditaria ai medesimi spettante per legge o per testamento, pertanto gli eredi:
- se hanno già un deposito titoli a loro intestato singolarmente o tra loro cointestato, potranno trasferire i titoli su tale deposito;
- in caso contrario dovranno aprire un deposito cointestato tra di loro o un deposito a ciascuno singolarmente intestato su cui trasferire i titoli.
Nel caso in cui gli eredi decidano di utilizzare un deposito titoli a loro intestato o cointestato esistente presso altro Istituto, occorrerà prima verificare che i titoli oggetto di trasferimento siano ritirabili dall’altro istituto.
Per quanto riguarda i titoli azionari è fondamentale conoscere il valore del patrimonio azionario ereditato, visto che esiste un valore originariamente versato dal testatore, quello su cui viene calcolata l’imposta di successione e infine quello indicato nel momento in cui l’erede viene effettivamente in possesso delle azioni. Poiché le differenze tra i tre valori possono essere ampie, per capire il valore di un patrimonio azionario ereditato, occorre applicare l’art. 750 c.c. secondo cui, in caso di successione per la determinazione del valore dei titoli di Stato, degli altri titoli di credito quotati in borsa il cd. “valore di carico” si calcola in base ai listini di Borsa del giorno di apertura della successione, in sostanza il “valore di carico” è quello registrato in Borsa alla data della morte del de cuius, coincidente, com’è noto, con la data di subentro degli eredi nei diritti e nelle proprietà del defunto.
Quanto ai fondi d’investimento rispetto a quanto in precedenza accennato è bene aggiungere che al momento della successione tutti gli investimenti vengono “congelati”, non essendo liquidati o immediatamente soggetti ad operazioni dispositive da parte degli eredi. Solo dopo la dichiarazione di successione il conto in gestione viene trasferito e i titolari potranno decidere se liquidare o mantenere l’investimento.
Successione ereditaria: quanto costa? Le tasse di successione
Una nota dolente della successione ereditaria è sicuramente costituita dai costi che devono sostenere i successori, per la quantificazione dei quali occorre considerare alcuni indici correlati al valore del patrimonio ereditato e al tipo di rapporto che si aveva con il defunto.
In particolare per l’imposta di successione il calcolo si effettua in base alla base imponibile, costituita dalla quota di eredità o del singolo legato spettante a ciascun erede o legatario e rappresentata dalla differenza tra l’attivo e il passivo del patrimonio del defunto. Per il coniuge, parenti in linea retta, fratelli e sorelle, portatori di handicap è prevista una franchigia che riduce la base imponibile.
In particolare per i coniugi e i parenti in linea retta è prevista una franchigia di € 1.000.000 per ciascun erede e, entro questa somma, non è dovuta l’imposta di successione. Se il valore dell’eredità supera la predetta franchigia (per ciascun erede), sulla parte eccedente è dovuta l’imposta nella misura del 4%.
Per i fratelli e le sorelle la franchigia è di € 100.000 (per ciascuno dei fratelli e delle sorelle); oltre tale limite di valore, sull’eccedenza si applica l’imposta di successione nella misura del 6%.
Per i parenti fino al 4° grado, affini in linea retta e affini in linea collaterale fino al 3° grado non è prevista alcuna franchigia; deve essere corrisposta l’imposta nella misura del 6% sul valore dei beni della quota ereditaria.
Per tutti gli altri eredi non è prevista alcuna franchigia; deve essere corrisposta l’imposta di successione nella misura dell’8% sul valore dei beni ereditari.
Per l’erede che sia persona portatrice di handicap grave, ai sensi della Legge n. 104 del 1992, gode della franchigia di € 1.500.000, senza distinzione di grado, vi sia o meno un rapporto di parentela.
Per calcolare la franchigia di ciascun erede (o legatario), occorre tener conto delle donazioni anteriori alla data di apertura della successione e degli altri atti che il defunto abbia disposto a suo favore per spirito di liberalità, anche sotto forma di costituzione di vincoli di destinazione su beni.
Sono esclusi dal pagamento delle imposte di successione e pertanto non devono essere inseriti nella dichiarazione di successione alcune tipologie di beni, così in sintesi:
- tutti i Titoli di Stato, ossia i buoni, ordinari e pluriennali, del Tesoro e i certificati di creditori;
- tutti i titoli dello Stato, ossia i buoni, ordinari e pluriennali, del Tesoro e i certificati di credito;
- i crediti verso lo Stato che non siano ancora stati riconosciuti sussistenti con provvedimento dell’ente pubblico debitore;
- i crediti rivendicati in sede giudiziaria ma non ancora definiti da sentenza giudiziale;
- i beni mobili registrati nel Pubblico Registro Automobilistico;
- i T.F.R., Trattamenti di Fine Rapporto e le indennità da lavoro;
- i beni culturali, soggetti a vincolo come beni di pregio architettonico, storico o culturale.
Quanto poi a casi particolari di esenzione dall’imposta di successione essi riguardano:
- l’esenzione per quote sociali e azioni del coniuge e degli eredi in linea retta, trasferimenti di aziende, rami di azienda stabilita dall’art. 3 del D.Lgs. 346/1990. A seguito del decesso, gli eredi legittimi subentrano nel controllo del capitale sociale dell’impresa ai sensi dell‘art. 2539 c.c. e gli eredi non possono cedere le rispettive quote per i successivi cinque anni, pena il decadimento dell’agevolazione fiscale concessa;
- esenzione per polizze vita e assicurazioni previdenziali, volontarie o obbligatorie, prevista dall’art.12 del D.Lgs. 346/1990, poiché non rientrano nell’attivo ereditario e non devono essere considerate ai fini fiscali;
- esenzione per terreni agricoli o montani;
- esenzione per enti ecclesiastici, onlus e associazioni, prevista dall’art. 3 del D.Lgs. 346/1990;
- esenzione per le associazioni che non perseguono scopi di pubblica utilità, ma solo se il testatore ha precisato che il patrimonio dovrà essere destinato dall’associazione per finalità di pubblica utilità con obbligo dell’associazione di dimostrare l’utilizzo dei beni ricevuti in successione per le finalità indicate dal defunto.
Cosa fare in caso di eredi in disaccordo
I motivi di disaccordo tra eredi possono essere molteplici con una casistica talmente vasta che è difficile anche operare una sintesi delle più comuni e ricorrenti diatribe.
Sicuramente è frequente che il testatore, disponendo con donazioni in vita o disposizioni testamentarie della porzione indisponibile, abbia leso i diritti dei legittimari, oppure è altrettanto frequente che gli eredi arrivino ai ferri corti in merito alla devoluzione dei beni quanto alla formazione delle porzioni reciprocamente spettanti.
Quando la strada per una convergenza di natura bonaria diventa impraticabile, altra soluzione non esiste se non quella di affidarsi ad un soggetto imparziale ed autorevole come il magistrato che arrivi a definire le singole posizioni secondo la legge e, per quanto possibile, interpretando la volontà del testatore.
La soluzione è quella della divisione giudiziale di cui abbiamo già parlato inuno dei precedenti paragrafi.
Uno o più coeredi pertanto potranno citare in giudizio tutti gli altri coeredi senza limiti temporali, essendo la domanda giudiziale di divisione di natura imprescrittibile.
Tuttavia, perché l’azione non sia dichiarata improcedibile e sospeso il giudizio, occorrerà attivare preliminarmente la mediazione obbligatoria presso un organismo di mediazione riconosciuto dal Ministero della Giustizia nel luogo della successione, affinché siano fissati incontri tra le parti e si possa arrivare ad un accordo transattivo.
La mancata adesione o il rifiuto immotivato alla mediazione possono costituire indice di valutazione negativa da parte dal giudice ai fini della sua decisione, mentre il verbale di accordo tra le parti ha efficacia di titolo esecutivo.
Procedura per alcuni aspetti affine è la negoziazione assistita per la quale ciascuno dei coeredi può rivolgersi al proprio avvocato ed eventualmente con l’ausilio di un mediatore avviare la procedura finalizzata a trovare una soluzione ad esempio per problematiche relative all’assegnazione dei beni, al valore delle quote, ecc.; l’accordo raggiunto dovrà essere autenticato da un notaio.
Di recente introduzione è la divisione su domanda congiunta (art. 791-bis cpc), una procedura giudiziale di divisione ereditaria semplificata cui possono ricorrere congiuntamente i coeredi e tutti gli interessati (a pena d’inammissibilità del ricorso se manca anche l’adesione di uno di loro). L’iter previsto è più veloce e meno costoso rispetto all’ordinario giudizio di divisione giudiziale, prevedendo la nomina di un notaio (eventualmente assistito da un esperto stimatore per la stima del valore dei beni) che si occupi di predisporre un progetto di divisione, sentite le parti e gli eventuali creditori, o eventualmente di disporre la vendita del bene non comodamente divisibile. In mancanza di opposizioni entro 30 giorni il progetto di divisione è depositato in cancelleria e reso esecutivo con decreto , procedendo lo stesso notaio per gli adempimenti conseguenti e finalizzati al compimento della divisione.
Della domanda giudiziale per la divisione dell’immobile in comunione ereditaria si è trattato in un precedente paragrafo al quale si rimanda.
Normativa di riferimento
Codice Civile, Libro Secondo, Titolo Primo, Capo I, II, III, V;
Codice Civile, Libro Secondo, Titolo Secondo, Titolo Terzo, Capo I, II, III, IV, V;
Codice Civile, Libro Secondo, Titolo Quarto, Capo I, II, III;
Giurisprudenza recente
Corte di Cassazione, Sezione Seconda Civile, sentenza 30 giugno 2015, n. 13407;
Corte di Cassazione, Sezione Seconda Civile, sentenza 15 luglio 2003, n. 11030;
Corte di Cassazione, Sezioni Unite Civili, sentenza 27 febbraio 2013, n. 4847;
Corte di Cassazione, Sezione Seconda Civile, sentenza 20 giugno 2019, n. 16623;
Corte di Cassazione, sentenza 14 maggio 2019, n 11358;
Corte di Cassazione, sentenza 30 aprile 2019, n. 11465;
Corte di Cassazione, sentenza 21 marzo 2019, n. 8031;
Corte di Cassazione, sentenza 19 febbraio 2019, n. 4843;
Corte di Cassazione, sentenza 16 novembre 2018, n. 29665.